GIULIO SPERANZA PHOTOGRAPHY
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La Vela di Calatrava a Roma, impressioni e considerazioni.

8/30/2016

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 La Città dello Sport o "Vela" dell'architetto Santiago Calatrava è una delle grandi opere incompiute legate ai mondiali di nuoto che si sono svolti a Roma nel 2009.  Non mi dilungo sulla cronistoria di questa vicenda, per cui vi rimando alla pagina di Wikipedia e relativi riferimenti. Quelli che seguono sono i miei pensieri (e le immagini) dopo questa che è stata la prima esplorazione. Altre foto le trovate nella gallery pubblicata qualche tempo fa qui sul mio sito.

È un classico giorno caldo e soleggiato di inizio agosto quando, con il collega fotografo Lorenzo Lattanzi, decidiamo di andare in esplorazione della mitica "Vela". Prima dell'arrivo sul posto siamo tranquilli. Non sappiamo le condizioni, se ci sia o meno vigilanza, se riusciremo o no ad entrare, ma non ci preoccupa, al massimo cambieremo soggetto, concentrandoci sull'interessate realtà urbana dei quartieri circostanti. Parcheggiamo la macchina vicino all'ingresso principale, con tanto di cartello ormai illeggibile a causa del tempo, che accoglie i visitatori alla Città dello Sport di Santiago Calatrava LLC. Cancelli chiusi, una discarica abusiva di frigo usati davanti ad uno dei varchi e tanto abbandono. Troviamo subito un'apertura nella recinzione e siamo dentro, passando accanto ai container che dovevano essere gli uffici di parte del personale di cantiere. Superata una seconda recinzione siamo ormai al cospetto della gigantesca struttura. Passiamo accanto al gabbiotto del vigilante, deserto, ed entriamo.

Quello che segue è una sintesi di quanto visto e sentito: struttura enorme, dalle affascinanti forme "animalesche" per il chiaro riferimento a strutture ossee animali; le vele sono due, ma la prima è molto più indietro, solo la struttura in cemento armato è completa; il piano in terra pieno di erbacce e tracce di pneumatici sembra più l'arena di una gara di autoscontro che una futura piscina; rumori e presenze, alcuni operai al lavoro, più che altro per la manutenzione di quanto fatto; la pancia della balena, struttura di congiunzione delle due vele, colpisce per l'immensità e la forza della struttura portante, ma al tempo stesso è disordinata e incompleta; la seconda vela è in uno stato più avanzato di lavoro, sembra quasi di poter vedere le lastre di vetro sulla struttura di sostegno metallica; al tempo stesso se la prima mi era sembrata come uno scheletro questa mi sembra come un animale scuoiato, di cui sto osservando i muscoli privi della cute; pochi i tag e i murales, bella la vista dai piani superiori cui si accede con scale illuminate da luci che ci accendono automaticamente al passaggio; abbandono e presenza, sensazioni contrastanti; i piani interrati sono al tempo stesso affascinanti e misteriosi, bui, ma si gira un interruttore ed ecco la luce; altre volte sostenute da gigantesche costole, corridoi e botole piene d'acqua.

Siamo di nuovo fuori dopo un paio d'ore. Cerco di fotografare la struttura da una certa distanza, per contestualizzarla, ma non è facile, si perde tra le erbacce e i cumuli di terra e pietre. Tornerò per approfondire questo aspetto, di sicuro ci vuole un punto di vista più alto. Che dire, tanti soldi spesi, tantissimi ne servirebbero per finire. Un contesto urbano circostante che spazia dalle strutture dell'Università di Tor Vergata, vecchi palazzi anni 80' (?), nuove costruzioni e campi incolti. La Roma-Napoli è lì, il GRA anche. Ma qui? Cosa fare di quello che è già costruito e di quello che manca? Buttare giù? Completare? Riconvertire? Lasciare così come ennesimo esempio, si spera l'ultimo, di speculazione, malaffare, malgestione, mancanza di lungimiranza ecc ecc? Questo non sta a me dirlo, io faccio il fotografo, e cerco di realizzare immagini il più possibili acritiche, ma che facciano riflettere. Di sicuro per me è stata solo una prima presa di contatto, il gigante è complesso e c'è tanto da approfondire e da fotografare!
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La prima delle due "Vele", quella ad uno stato più avanzato di costruzione, con la volta metallica che doveva sostenere le lastre di vetro. Linhof Technika IV, lente Super-Angulon 90mm, pellicola Ilford Delta 100 sviluppata in Rodinal, filtro giallo 12.
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La seconda "Vela", in uno stato più arretrato di costruzione, in sostanza con la sola struttura in cemento armato. Linhof Technika IV, lente Super-Angulon 90mm, pellicola Ilford Delta 100 sviluppata in Rodinal, filtro giallo 12.
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Questo è il vero e proprio nucleo della struttura, la "pancia della balena", zona di congiunzione delle due vele. Un lunghissimo spazio ancora il lavorazione. Linhof Technika IV, lente Super-Angulon 90mm, pellicola Ilford Delta 100 sviluppata in Rodinal.
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La Val d'Orcia, immagini del paesaggio parallelo.

8/29/2016

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La Val d'Orcia, in Toscana, provincia di Siena, è patrimonio mondiale dell'umanità UNESCO per le sue eccezionali caratteristiche naturali, culturali e artistiche. Fin qui nulla da dire, personalmente conosco bene questi luoghi e li ritengo più che meritevoli di questo riconoscimento. La sua fama è ben nota anche oltre i confini nazionali e prova ne è il flusso molto intenso di turisti stranieri che per buona parte dell'anno visitano la zona. Ovviamente potete immaginare la mole di immagini che vengono scattate, da fotografi amatori, professionisti o semplici turisti. Fatalmente, come accade spesso per le zone più "belle", è quasi sempre l'estetica a dominare questi scatti. Bisogna inoltre notare come vengano riproposte in tutte le salse quelle che ormai sono noti come i punti più "belli" all'interno della zona "bella", con una sorta di perpetua imitazione reciproca nel difficilissimo tentativo di tirare fuori lo scatto più bello di tutti.

Premettendo che capisco benissimo le foto "turistiche" e di quanti vogliano portare con se ciò che ritengono più bello, anche a me è capitato tante volte di farlo, e non volendo in nessun modo, come ho scritto in un altro post, criticare la ricerca estetica, voglio solo stimolare chi fa ricerca fotografica ad andare oltre. Percorrendo le stradine della valle, guardandosi attorno, ci sono altri elementi che contribuiscono all'insieme del paesaggio di quest'area, magari dissonanti, non "belli" o poco interessanti rispetto a quello che si vede normalmente e per questo spesso ignorati. Io credo che anche questi elementi, al pari di quelli esteticamente più accattivanti, abbiano la dignità di essere fotografati nell'ambito di uno studio paesaggistico della Val d'Orcia. Così le ex cave di ghiaia lungo l'omonimo fiume, i tanti casali malandati e semi-abbandonati, i fossi, le grandi strutture delle cooperative agricole fino alle industrie dismesse (vedere questa gallery) fanno parte del paesaggio della valle così come i campi, le dolci colline, i cipressi e i borghi antichi.

Il mio punto di vista e il mio consiglio quindi per chi voglia realizzare una documentazione sul paesaggio di un qualsiasi luogo, è di non tralasciare nulla, non farsi distrarre solo dalle cose più evidenti e fotografare le cose così come si vedono, e non come si vorrebbe che fossero, tralasciando di aspettare la luce giusta, la stagione giusta, l'attrezzatura giusta ecc. Ritengo che in questo genere di lavoro ciò che conta è il contenuto prima di tutto. Buona ricerca!
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Sulle Dolomiti in grande formato

8/16/2016

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Vi presento questi tre scatti eseguiti in grande formato 10*12cm (4x5") nella bellissima area delle Dolomiti di Sesto, in Alto Adige.  Sono tre fotografie di cui sono abbastanza soddisfatto, soprattutto della prima, quella che ritrae il versante nord delle celeberrime Tre Cime di Lavaredo. La mia soddisfazione non sta tanto (o non solo) nella bellezza delle immagini, quanto nel fatto che rappresentano un progresso nel mio approccio alla fotografia analogica, che si sta sempre più spostando dal medio al grande formato.

Dietro un singolo scatto come questi infatti c'è molto lavoro, dal caricamento delle pellicole piane negli chassis nel buio più totale, al peso e complessità dell'attrezzatura, a tutta una serie di passaggi obbligati che occorre seguire durante le fasi di scatto e dopo di esso, rischiando anche saltandone uno solo di gettare alle ortiche tutto il lavoro, fino allo sviluppo finale in camera oscura. Capite bene che scattare in questo modo con successo può regalare grandi soddisfazioni e richiede molta attenzione, cosa che ritengo di grande aiuto per ottenere i risultati migliori. Inoltre, come ho avuto modo già di scrivere in un altro post a proposito del paesaggio, il grande formato ha come peculiarità una "qualità" dell'immagine, intesa come fedeltà complessiva alla scena "reale", veramente eccezionale.

Per chi è interessato ai dettagli, ho scattato con una Linhof Technika IV e ottica Nikkor 150mm o 210mm. Ho usato sempre un filtro giallo (n°12) per scurire leggermente il cielo e dare una miglior resa complessiva alle diverse tonalità di grigio. Tutti gli scatti sono stati eseguiti con la fotocamera su treppiede. Per calcolare l'esposizione ho usato un esposimetro esterno, usato in modalità spot con angolo di lettura di 5°. Ho sempre calcolato la luminanza delle varie aree del soggetto, cercando di porre le porzioni più scure non al di sotto della zona III, ovvero due stop sotto il grigio medio.

​Andiamo avanti, pensando sempre più in Grande ;-)
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La parete nord delle Tre Cime di Lavaredo (Drei Zinnen) viste dal Rifugio Locatelli - Innerkofler. Pellicola Iford Delta 100 sviluppata in Rodinal. Questo è lo scatto di cui sono più fiero perché mi è costato 1000m di dislivello in una caldissima giornata estiva!
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Le Tre Cime di Lavaredo (Drei Zinnen) viste dal Lago di Misurina. Pellicola Iford Delta 100 sviluppata in Rodinal.
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La Croda Rossa di Sesto e la Cima Undici (tra le nuvole) viste da Waldheim (Sesto - Sexten). Pellicola Ilford Delta 100 sviluppata in Rodinal.
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La fotografia come analisi e documentazione del Paesaggio

8/1/2016

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Vi presento due scatti dal soggiorno sulle Dolomiti di Sesto del giugno scorso. Due scatti in grande formato (10*12cm) su pellicola a colori Ektar 100. Due "Cartoline", come le intendo io, in cui sono rappresentati il Rifugio Locatelli - Innerkofler con il Monte Paterno sullo sfondo in una, e la Val Campo di Dentro (Innerfeldtal) con il Monte Mattina al centro nell'altra. Di sicuro non sono foto di grande impatto estetico e devo dire che avrei potuto fare di meglio. Mi danno comunque la possibilità di esprimere il mio pensiero riguardo la fotografia di paesaggio.

Di fatto io nasco come ricercatore scientifico e quindi non posso fare a meno di pensare la fotografia come un eccezionale strumento di analisi del territorio, cosa che facevo prima raccogliendo dati e campioni di rocce. Ora vado in giro con la fotocamera e raccolgo immagini del mondo che mi circonda. Ritengo che tutto sia degno di essere fotografato, ammesso che si abbia qualcosa da dire, ma al tempo stesso, circondati come siamo di immagini che tendono spesso a rappresentare, nella foto di paesaggio, solo le cose belle o solo il bello delle cose, sono portato spesso a fotografare ciò che è normalmente ritenuto meno interessante, ordinario, non brutto ma magari insignificante, o ancora a ritrarre cose ritenute universalmente belle in modo normale e senza fronzoli.

Troppo spesso infatti certa foto paesaggistica tende ad esaltare una scena con la luce "giusta", i colori al massimo del fulgore, contrasto, chiarezza, vignettatura, cromatismi artificiali, ecc. Insomma si imbottiscono le immagini di sovrastrutture che, se a volte possono essere apprezzabili, di notevole impatto e ovviamente veicolano al massimo l'esaltazione dell'estetica di un luogo, altre volte invece sono eccessive e controproducenti in quello che dicevo prima dovrebbe fare una buona foto di analisi del paesaggio: descriverlo per quello che è "normalmente". Per fare questo, ovviamente ammesso che sia il nostro obiettivo, non serve caricare le immagini con chissà quali artifici, basta accostarci ad una scena con occhio attento e osservare ciò che ci circonda. I dati scientifici vanno raccolti senza preconcetti o modelli già in testa, altrimenti si pecca di poca onestà intellettuale e si tende a forzare il dato a rappresentare il modello che si ha in testa. La fotografia, per carità, non deve sottostare a queste regole, viva la libertà espressiva. Però credo che un'immagine libera di troppi fronzoli permetta una riflessione ed una analisi più attenta e oggettiva della scena rappresentata. In questa mia idea la fotografia analogica in grande formato è la compagna ideale! La ricerca continua!
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Si arriva al limitare di questo splendido pascolo dopo una breve ma faticosa (specialmente con un banco ottico sulle spalle!) salita tra bassi alberi e arbusti che lottano contro le rocce e le valanghe che scendono dalle scabre e altissime pareti della Cima dei Tre Scarperi.
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Il Monte Paterno fu uno dei grandi teatri della Prima Guerra Mondiale lungo in fronte Italo-Austriaco. Un secolo fa italiani ed austriaci si confrontavano aspramente tra gallerie, percorsi attrezzati e trincee. Nel tentativo di trovare una via alternativa alla cima morì la grande guida alpina austriaca Sepp Innerkofler.
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