GIULIO SPERANZA PHOTOGRAPHY
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L'inverno 2016/17 in Abruzzo: analisi e considerazioni.

3/4/2017

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Con l'inizio della primavera meteorologica (1 marzo) si è ufficialmente conclusa la stagione invernale 2016-17 anche in Abruzzo. Vorrei analizzare, ovviamente con l'ausilio delle fotografie, l'andamento di questo periodo così turbolento che molto probabilmente passerà alla storia per l'indubbiamente tragico e assai emotivo disastro dell'Hotel Rigopiano, un singolo evento che, complice anche l'assordante bombardamento mediatico, ha finito con l'etichettare l'intera stagione come un inverno storico, da record, d'altri tempi per quanto riguarda freddo e neve. Falso? Non del tutto. Ma come ho scritto altre volte, mi interessa analizzare le cose partendo dai dati per poi cercare di dare un giudizio il più possibile onesto e non emotivo. Al netto di ciò che è successo, si possono trarre interessanti riflessioni dall'andamento di questa stagione, senza focalizzarsi troppo sul singolo evento e guardando le cose alla giusta scala, altrimenti corriamo il rischio di estrapolare un fatto locale e di estenderlo a scala nazionale o globale.
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23 novembre 2016, la dorsale tra il Monte Tremoggia e il Monte Camicia, versante NE (porzione meridionale della catena del Gran Sasso). Scatto realizzato su pellicola bianco e nero grande formato (4x5").
L'inverno meteorologico 2016/17 inizia il 1 dicembre dopo un autunno tutt'altro che freddo e soprattutto decisamente avaro di neve. Se escludiamo un paio di deboli irruzioni fredde dai Balcani, che portano a modesti accumuli nevosi, peraltro di brevissima durata, solo sui monti più orientali, Gran Sasso e Majella su tutti, succede poco o nulla. Così, come si apprezza dalla foto in alto, si arriva alla fine dell'autunno praticamente senza neve sui monti. Tenete conto che la cima più alta nell'immagine sfiora i 2500m, e al 23 novembre presenta solo alcuni modesti accumuli residui. Dicembre inizia senza grandi scossoni. Un solo evento perturbato, ancora dai quadranti orientali, imbianca nuovamente all'inizio del mese Gran Sasso, Majella e zone orientali del Parco Nazionale d'Abruzzo. Il resto dell'Appennino Centrale rimane abbastanza all'asciutto. La situazione prosegue nelle settimane successive e si arriva a fine mese con le montagne in condizioni quasi grottesche.

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Il comprensorio sciistico di Monte Cristo - Campo Nevada (Gran Sasso)

12/20/2016

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Una fredda mattina di metà dicembre lungo quelle che erano le piste e gli impianti di Monte Cristo. Linhof Technika IV 4x5", pellicola Tmax100, lente Nikkor 150mm.
Vi presento questa volta alcuni scatti relativi all'ennesima storia italiana in cui investimenti sbagliati, speculazione e abbandono si intrecciano con gli innegabili cambiamenti climatici. Il tutto in un'area oggi Parco Nazionale: gli impianti sciistici di Monte Cristo e le strutture di Campo Nevada, sul Gran Sasso in Abruzzo.

Monte Cristo è una tondeggiante prominenza montuosa alta poco più di 1900m (1928m per la precisione), posta tra Campo Imperatore e il "Piccolo Tibet" d'Abruzzo, di cui rappresenta un po' la fine verso nord-ovest. Appena più a nord si trova il Monte Scindarella, che ospita gli impianti e le piste di Campo Imperatore. Tra i due, la depressione della Fossa di Paganica con i resti della fu iniziativa edilizia di Campo Nevada. La strada che porta da Fonte Cerreto verso Campo Imperatore lambisce queste realtà prima di portare i turisti verso il famoso altipiano e le cime maggiori del massiccio.

Sugli erbosi pendii di Monte Cristo intorno agli anni '70 del 1900 erano stati messi in opera alcuni impianti di risalita, alternativa più bassa e relativamente protetta rispetto a quelli di Campo Imperatore, spesso funestati dal vento e dalle tormente. Gli impianti a fune salivano da ovest fino alla piatta cima della montagna e permettevano la discesa sul versante settentrionale fino alla Fossa di Paganica dove, collegata all'attività sciistica, era stata costruita e quasi ultimata una struttura alberghiera (anzi due).
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La vista verso sud-est dalla cima di Monte Cristo, con il piano di Campo Imperatore, il Monte Camicia sulla sinistra e in primo piano il fu skilift che saliva dalla Fossa di Paganica.
È una piacevole mattina di metà dicembre quando mi metto in marcia per un'escursione esplorativa di quest'area. Sono già stato in passato alla Fossa di Paganica, ma questa volta voglio avere un quadro più complessivo, salendo anche alla cima di Monte Cristo. Come purtroppo sta succedendo sempre più frequentemente negli ultimi anni, siamo a metà dicembre e sui monti non c'è un filo di neve. Solo qualche chiazza residua dalla modesta nevicata di novembre. Seguo una carrareccia frequentata dal bestiame che d'estate popola numeroso questi pascoli e arrivo, dopo una bella fontana, in una zona pianeggiante da cui partivano tre degli impianti del comprensorio, con relative costruzioni di servizio. Tutto ovviamente in avanzato abbandono. In una delle strutture ci sono ancora i vecchi cartelli con i nomi delle piste. Con un po' di fatica raggiungo la cima del monte, dove la fanno da padrone cavi d'acciaio arrugginiti e il vecchio skilift che saliva dall'altro versante. Peccato perché la vista verso Campo Imperatore, il Monte Camicia e il "Piccolo Tibet" è magnifica e insolita. Mentre qualche nuvola supera la cresta della Scindarella, ora di fronte a me, scendo velocemente sul versante nord verso le evidenti strutture edilizie di Campo Nevada. Qui pare che i soldi siano finiti poco prima del completamento degli edifici, che oggi versano in precarie condizioni e sono la casa estiva dei pastori con relativi greggi di pecore. Non c'è che dire, questa speculazione edilizia era e rimane un vero pugno nell'occhio, troppo fuori luogo tra questi spazi magnifici che davvero sembrano appartenere al continente asiatico o al far west americano. Mentre rifletto un forte vento e qualche fiocco di neve mi spingono a tornare.

Che dire, un luogo sospeso, come spesso accade alle realtà abbandonate, tra quello che era, il precario riutilizzo attuale e quello che potrebbe essere. La bellezza della natura di questi luoghi non si discute ed  sotto gli occhi di tutti. Le tradizionali attività agricolo/pastorali sono ancora attive e i prodotti tipici sicuramente qualcosa su cui puntare molto. Il Parco Nazionale resta una realtà un po' secondaria, ma comunque di richiamo. Lo sci, si sa, è stato ed è ancora un mito foriero di grande sviluppo economico e benessere. Penso però che oggi bisogna fare i conti con la situazione climatica che indubbiamente non è quella di una volta e realtà come quelle di Monte Cristo difficilmente funzionerebbero senza innevamento artificiale. Progetti fantomatici di un recupero delle strutture e collegamento con gli impianti di Campo Imperatore ci sono, ma restano solo sulla carta. Intanto l'abbandono rimane e chi ama questi luoghi come ve vorrebbe vedere queste tracce del passato cancellate o riutilizzate in modo intelligente per un vero sviluppo sostenibile del territorio.
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