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Con l'inizio della primavera meteorologica (1 marzo) si è ufficialmente conclusa la stagione invernale 2016-17 anche in Abruzzo. Vorrei analizzare, ovviamente con l'ausilio delle fotografie, l'andamento di questo periodo così turbolento che molto probabilmente passerà alla storia per l'indubbiamente tragico e assai emotivo disastro dell'Hotel Rigopiano, un singolo evento che, complice anche l'assordante bombardamento mediatico, ha finito con l'etichettare l'intera stagione come un inverno storico, da record, d'altri tempi per quanto riguarda freddo e neve. Falso? Non del tutto. Ma come ho scritto altre volte, mi interessa analizzare le cose partendo dai dati per poi cercare di dare un giudizio il più possibile onesto e non emotivo. Al netto di ciò che è successo, si possono trarre interessanti riflessioni dall'andamento di questa stagione, senza focalizzarsi troppo sul singolo evento e guardando le cose alla giusta scala, altrimenti corriamo il rischio di estrapolare un fatto locale e di estenderlo a scala nazionale o globale. L'inverno meteorologico 2016/17 inizia il 1 dicembre dopo un autunno tutt'altro che freddo e soprattutto decisamente avaro di neve. Se escludiamo un paio di deboli irruzioni fredde dai Balcani, che portano a modesti accumuli nevosi, peraltro di brevissima durata, solo sui monti più orientali, Gran Sasso e Majella su tutti, succede poco o nulla. Così, come si apprezza dalla foto in alto, si arriva alla fine dell'autunno praticamente senza neve sui monti. Tenete conto che la cima più alta nell'immagine sfiora i 2500m, e al 23 novembre presenta solo alcuni modesti accumuli residui. Dicembre inizia senza grandi scossoni. Un solo evento perturbato, ancora dai quadranti orientali, imbianca nuovamente all'inizio del mese Gran Sasso, Majella e zone orientali del Parco Nazionale d'Abruzzo. Il resto dell'Appennino Centrale rimane abbastanza all'asciutto. La situazione prosegue nelle settimane successive e si arriva a fine mese con le montagne in condizioni quasi grottesche.
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Prima di Natale sono stato con la mia famiglia al Bioparco di Roma. Mancavo da tantissimo tempo, da bambino praticamente, ed ora che mio figlio è abbastanza grande la voglia di tornarci era tanta. Conosco strettamente più di una persona che ci ha lavorato o che è un vero esperto in materia di zoo. Questo, unito alla mia formazione scientifica, mi ha fatto sempre pensare che queste strutture siano importantissime per la formazione culturale delle persone e per la ricerca scientifica e la salvaguardia degli animali. La cattività ovviamente non è una cosa sempre piacevole per lo spettatore. Ci sono persone, che a volte comprensibilmente e onestamente, atre superficialmente o in mala fede, sono apertamente contro gli zoo, li osteggiano ed evitano accuratamente di visitarli. Secondo me, come accade per gran parte delle vicende umane, bisogna accostarsi all'oggetto del nostro interesse con un occhio il più possibile privo di preconcetti, cercando di analizzare le cose e giudicarle a ragion veduta. Quella che segue è stata la mia esperienza durante una tiepida e umida giornata di dicembre. La storia dello zoo di Roma, ora bioparco, inizia nel 1911. Avevo sentito di condizioni abbastanza precarie anni addietro e di un rinnovamento avvenuto in tempi recenti. Complessivamente ho trovato tutto in condizioni più che buone. È vero che alcune strutture sentono il peso degli anni e andrebbero rinnovate, ma tutto era molto curato e pulito con molti operatori al lavoro dentro e fuori gabbie e recinti. Alcuni ricercatori intenti a raccogliere dati e qualche famiglia a spasso con i bimbi ovviamente molto emozionati. Mio figlio non ha fatto eccezione: vedere dal vivo i tanti animali che aveva passato ore ad ammirare sui libri, imitandone il verso, è stato emotivamente assai intenso ed importante per lui. Dobbiamo pensiare che spesso la visita dello zoo è l'unica occasione che la maggior parte delle persone hanno per vedere specie più o meno "famose" ed "esotiche", passaggio fondamentale per la formazione di una coscienza ecologista, specialmente nei più piccoli. Questo passa anche per il confronto con la cattività, che va presa non come simbolo della prepotenza umana nello schiacciare e schiavizzare ai suoi voleri le altre forme di vita, ma come strumento attraverso cui esemplari già nati in altre strutture, o vittime di bracconaggio e commercio illegale, malati ecc possono vivere dignitosamente, aiutando la ricerca scientifica che attraverso lo studio cerca soluzioni per la salvaguardia delle specie minacciate. Credo che un errore che si fa spesso è quello di attribuire agli animali sentimenti umani, che cioè scaturiscono dall'uomo e che, salvo atti di fede, non possiamo sapere se propri anche di altre specie. Così, se è indubbio che ci possano essere dei disagi per gli esemplari in gabbia, bisogna credere che siano affidati alle cure di personale competente, che ne garantisca al massimo la salute le condizioni di vita migliori possibili. Dire: "che aria triste che ha quel leone" è una cosa che non aiuta oltre ad essere razionalmente sbagliata. Bisogna capire che la salvaguardia del mondo animale e della natura in generale non può prescindere dal confronto con la specie umana. Eden e paradisi perduti non esistono praticamente più nel mondo e ovunque è solo con lo studio delle necessità delle singole specie, e con il rapporto con le le società umane che inevitabilmente convivono negli habitat naturali fondamentali alla sopravvivenza di queste, che passa il futuro degli ecosistemi della Terra. In questo gli zoo, ovviamente se gestiti responsabilmente, posso essere di grande aiuto.
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