È un classico giorno caldo e soleggiato di inizio agosto quando, con il collega fotografo Lorenzo Lattanzi, decidiamo di andare in esplorazione della mitica "Vela". Prima dell'arrivo sul posto siamo tranquilli. Non sappiamo le condizioni, se ci sia o meno vigilanza, se riusciremo o no ad entrare, ma non ci preoccupa, al massimo cambieremo soggetto, concentrandoci sull'interessate realtà urbana dei quartieri circostanti. Parcheggiamo la macchina vicino all'ingresso principale, con tanto di cartello ormai illeggibile a causa del tempo, che accoglie i visitatori alla Città dello Sport di Santiago Calatrava LLC. Cancelli chiusi, una discarica abusiva di frigo usati davanti ad uno dei varchi e tanto abbandono. Troviamo subito un'apertura nella recinzione e siamo dentro, passando accanto ai container che dovevano essere gli uffici di parte del personale di cantiere. Superata una seconda recinzione siamo ormai al cospetto della gigantesca struttura. Passiamo accanto al gabbiotto del vigilante, deserto, ed entriamo.
Quello che segue è una sintesi di quanto visto e sentito: struttura enorme, dalle affascinanti forme "animalesche" per il chiaro riferimento a strutture ossee animali; le vele sono due, ma la prima è molto più indietro, solo la struttura in cemento armato è completa; il piano in terra pieno di erbacce e tracce di pneumatici sembra più l'arena di una gara di autoscontro che una futura piscina; rumori e presenze, alcuni operai al lavoro, più che altro per la manutenzione di quanto fatto; la pancia della balena, struttura di congiunzione delle due vele, colpisce per l'immensità e la forza della struttura portante, ma al tempo stesso è disordinata e incompleta; la seconda vela è in uno stato più avanzato di lavoro, sembra quasi di poter vedere le lastre di vetro sulla struttura di sostegno metallica; al tempo stesso se la prima mi era sembrata come uno scheletro questa mi sembra come un animale scuoiato, di cui sto osservando i muscoli privi della cute; pochi i tag e i murales, bella la vista dai piani superiori cui si accede con scale illuminate da luci che ci accendono automaticamente al passaggio; abbandono e presenza, sensazioni contrastanti; i piani interrati sono al tempo stesso affascinanti e misteriosi, bui, ma si gira un interruttore ed ecco la luce; altre volte sostenute da gigantesche costole, corridoi e botole piene d'acqua.
Siamo di nuovo fuori dopo un paio d'ore. Cerco di fotografare la struttura da una certa distanza, per contestualizzarla, ma non è facile, si perde tra le erbacce e i cumuli di terra e pietre. Tornerò per approfondire questo aspetto, di sicuro ci vuole un punto di vista più alto. Che dire, tanti soldi spesi, tantissimi ne servirebbero per finire. Un contesto urbano circostante che spazia dalle strutture dell'Università di Tor Vergata, vecchi palazzi anni 80' (?), nuove costruzioni e campi incolti. La Roma-Napoli è lì, il GRA anche. Ma qui? Cosa fare di quello che è già costruito e di quello che manca? Buttare giù? Completare? Riconvertire? Lasciare così come ennesimo esempio, si spera l'ultimo, di speculazione, malaffare, malgestione, mancanza di lungimiranza ecc ecc? Questo non sta a me dirlo, io faccio il fotografo, e cerco di realizzare immagini il più possibili acritiche, ma che facciano riflettere. Di sicuro per me è stata solo una prima presa di contatto, il gigante è complesso e c'è tanto da approfondire e da fotografare!