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Il comprensorio sciistico di Monte Cristo - Campo Nevada (Gran Sasso)

12/20/2016

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Una fredda mattina di metà dicembre lungo quelle che erano le piste e gli impianti di Monte Cristo. Linhof Technika IV 4x5", pellicola Tmax100, lente Nikkor 150mm.
Vi presento questa volta alcuni scatti relativi all'ennesima storia italiana in cui investimenti sbagliati, speculazione e abbandono si intrecciano con gli innegabili cambiamenti climatici. Il tutto in un'area oggi Parco Nazionale: gli impianti sciistici di Monte Cristo e le strutture di Campo Nevada, sul Gran Sasso in Abruzzo.

Monte Cristo è una tondeggiante prominenza montuosa alta poco più di 1900m (1928m per la precisione), posta tra Campo Imperatore e il "Piccolo Tibet" d'Abruzzo, di cui rappresenta un po' la fine verso nord-ovest. Appena più a nord si trova il Monte Scindarella, che ospita gli impianti e le piste di Campo Imperatore. Tra i due, la depressione della Fossa di Paganica con i resti della fu iniziativa edilizia di Campo Nevada. La strada che porta da Fonte Cerreto verso Campo Imperatore lambisce queste realtà prima di portare i turisti verso il famoso altipiano e le cime maggiori del massiccio.

Sugli erbosi pendii di Monte Cristo intorno agli anni '70 del 1900 erano stati messi in opera alcuni impianti di risalita, alternativa più bassa e relativamente protetta rispetto a quelli di Campo Imperatore, spesso funestati dal vento e dalle tormente. Gli impianti a fune salivano da ovest fino alla piatta cima della montagna e permettevano la discesa sul versante settentrionale fino alla Fossa di Paganica dove, collegata all'attività sciistica, era stata costruita e quasi ultimata una struttura alberghiera (anzi due).
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La vista verso sud-est dalla cima di Monte Cristo, con il piano di Campo Imperatore, il Monte Camicia sulla sinistra e in primo piano il fu skilift che saliva dalla Fossa di Paganica.
È una piacevole mattina di metà dicembre quando mi metto in marcia per un'escursione esplorativa di quest'area. Sono già stato in passato alla Fossa di Paganica, ma questa volta voglio avere un quadro più complessivo, salendo anche alla cima di Monte Cristo. Come purtroppo sta succedendo sempre più frequentemente negli ultimi anni, siamo a metà dicembre e sui monti non c'è un filo di neve. Solo qualche chiazza residua dalla modesta nevicata di novembre. Seguo una carrareccia frequentata dal bestiame che d'estate popola numeroso questi pascoli e arrivo, dopo una bella fontana, in una zona pianeggiante da cui partivano tre degli impianti del comprensorio, con relative costruzioni di servizio. Tutto ovviamente in avanzato abbandono. In una delle strutture ci sono ancora i vecchi cartelli con i nomi delle piste. Con un po' di fatica raggiungo la cima del monte, dove la fanno da padrone cavi d'acciaio arrugginiti e il vecchio skilift che saliva dall'altro versante. Peccato perché la vista verso Campo Imperatore, il Monte Camicia e il "Piccolo Tibet" è magnifica e insolita. Mentre qualche nuvola supera la cresta della Scindarella, ora di fronte a me, scendo velocemente sul versante nord verso le evidenti strutture edilizie di Campo Nevada. Qui pare che i soldi siano finiti poco prima del completamento degli edifici, che oggi versano in precarie condizioni e sono la casa estiva dei pastori con relativi greggi di pecore. Non c'è che dire, questa speculazione edilizia era e rimane un vero pugno nell'occhio, troppo fuori luogo tra questi spazi magnifici che davvero sembrano appartenere al continente asiatico o al far west americano. Mentre rifletto un forte vento e qualche fiocco di neve mi spingono a tornare.

Che dire, un luogo sospeso, come spesso accade alle realtà abbandonate, tra quello che era, il precario riutilizzo attuale e quello che potrebbe essere. La bellezza della natura di questi luoghi non si discute ed  sotto gli occhi di tutti. Le tradizionali attività agricolo/pastorali sono ancora attive e i prodotti tipici sicuramente qualcosa su cui puntare molto. Il Parco Nazionale resta una realtà un po' secondaria, ma comunque di richiamo. Lo sci, si sa, è stato ed è ancora un mito foriero di grande sviluppo economico e benessere. Penso però che oggi bisogna fare i conti con la situazione climatica che indubbiamente non è quella di una volta e realtà come quelle di Monte Cristo difficilmente funzionerebbero senza innevamento artificiale. Progetti fantomatici di un recupero delle strutture e collegamento con gli impianti di Campo Imperatore ci sono, ma restano solo sulla carta. Intanto l'abbandono rimane e chi ama questi luoghi come ve vorrebbe vedere queste tracce del passato cancellate o riutilizzate in modo intelligente per un vero sviluppo sostenibile del territorio.
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Monte Terminillo tra passato e futuro.

11/8/2016

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Il Terminillo è la montagna più conosciuta nella Capitale, e infatti è nota anche come “La montagna di Roma”. Il suo versante occidentale è chiaramente visibile dalla città e circa un’ottantina di km di Salaria più un po’ di curve la separano dai condomini romani. Dall’alto dei suoi 2217 m domina la conca reatina ed essendo relativamente isolato rispetto agli altri gruppi montuosi dell’Appennino Centrale, dai suoi pendii si gode un panorama eccezionale. Se fino agli anni ’20 del 900 si poteva raggiungere solo tramite sentieri o a dorso di mulo, è con la visita di Mussolini che, negli anni ’30, inizia la “colonizzazione” per fini turistici, con la costruzione della strada e poi, nel 1940, delle piste da sci e della funivia. Il periodo d’oro è quello che va dagli anni ’50 agli anni ’70, quando diventa un vero e proprio punto di riferimento per il turismo estivo ed invernale per il centro Italia ed è frequentato anche da molte personalità di rilievo del mondo politico e dello spettacolo. Il declino inizia negli anni ’80, per mancanza di investimenti e per la concorrenza sempre più forte delle stazioni sciistiche abruzzesi, che sono ora raggiungibili molto più agevolmente grazie alla costruzione dell’autostrada Roma-L’Aquila. La situazione non è cambiata nell’ultimo periodo, gli impianti sciistici sono ormai obsoleti (si pensi che la funivia è ancora quella del 1940) e i numerosi condomini, alberghi e ville che sono nati negli anni del boom sono ormai quasi sempre vuoti se non abbandonati. Ci sono progetti di ampliamento volti a collegare le piste del versante Reatino con quelle di Leonessa, ma, come succede a tante cose italiane, tutto rimane sospeso per anni. 

È con queste informazioni in mente che mi sono avvicinato assieme all’amico fotografo Roberto Mirulla per una prima “esplorazione” fotografica del Terminillo. In realtà ci ero già passato diverse volte, ma la forma mentis con cui arrivavo era sempre quella dello sci alpinismo o del trekking, quindi gli aspetti socio-architettonici e la ricerca fotografica in senso lato non avevano mai attirato la mia attenzione. Ora però è tutto diverso. Anche gli strumenti sono cambiati. Con la Linhof Technika 4x5” e la Rolleiflex ho iniziato un nuovo percorso di conoscenza di questi luoghi.

La tiepida giornata di autunno inoltrato mi ha regalato emozioni contrastanti: paesaggisticamente parlando il posto era e rimane magnifico. Le grandi faggete che coprono i fianchi della montagna cedono gradualmente il posto ai pascoli e poi ai pendii via via più brulli verso la cima. La strada sale tortuosa regalando viste magnifiche verso ovest sulle dorsali montuose fino alla città che si perde nella foschia. Bello, ma, certo, questo era già così prima dell’antropizzazione, che poi è quello che mi interessa veramente. Ecco quindi che si arriva prima a Pian dé Valli e poi a Campoforogna. Ecco i grandi residence e condomini, ecco le ville più o meno eleganti perse tra gli alberi. Le piazzette, qualche negozio, la vecchia funivia e la grande chiesa di San Francesco. Sembra di fare un viaggio indietro nel tempo negli anni ’60. Sacche del periodo d’oro resistono accanto a palesi decadenze e timidi rinnovamenti. Si percepiscono le origini ante guerra, ci si perde nel marasma della speculazione del dopo guerra e poi... Nulla. Poi una troncatura, uno hiatus come direbbe un geologo. In effetti sembra di essere in una specie di limbo, una sorta di riedizione nostalgica degli anni che furono. Un po’ di gente c’è (è domenica). L’autunno certo non è da nessuna parte il momento del pienone, ma è indubbio che qui i tempi d’oro sono passati.  Salendo verso gli ultimi condomini più alti il discorso non cambia, anzi, c’è anche la diruta e assurda Villa Chigi (che i nostalgici chiamano “di Mussolini)”, però fa un certo effetto vedere il grande campo di atletica ben tenuto e curato. Forse qualcosa si muove e nel complesso tutto ciò che è di antropico non disturba neanche troppo, anzi interessa per quello che è e che ha rappresentato. Un momento della storia della nostra nazione in cui c’era una spinta che oggi dovremmo ritrovare, certo orientandola in altre direzioni magari, ma di cui avremmo un gran bisogno.
​

Torno da questo primo viaggio con tre scatti su pellicola piana e un rullo 120. Ho scelto il bianco e nero per questa volta, mi interessava iniziare con una analisi più formale ed estetica. Ma ci torneremo presto, anche con la neve. ​

Terminillo.net
Terminillo su Wikipedia
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La chiesa di San Francesco al Terminillo (Pian dé Valli), costruita tra gli anni '50 e '60 del 1900. Linhof Technika IV 4x5", pellicola TMax100, lente Super-Angulon 90mm.
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Villa Chigi al Terminillo, costruita negli anni '30 del 1900 ed oggi in abbandono. Numerosi i progetti di recupero, per ora senza esito. Linhof Technika IV 4x5", pellicola TMax100, lente Super-Angulon 90mm, filtro giallo 12.
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L'ingresso di Villa Chigi al Terminillo, con splendido panorama verso sud. Linhof Technika IV 4x5", pellicola TMax100, lente Super-Angulon 90mm.
Segue una piccola galleria di immagini realizzate con fotocamera Rolleiflex 3.5F su pellicola Iford FP4+
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La Casa Sperimentale di Giuseppe Perugini in grande formato.

10/19/2016

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Dopo la prima esplorazione della Casa Sperimentale dell'architetto Giuseppe Perugini, di cui vi ho reso conto in un recente post del blog, sono tornato in compagnia di due amici per una sessione fotografica in grande formato e per uno studio preliminare di un progetto espositivo a cui stiamo lavorando e di cui sentirete, spero presto, notizie.
Per ora vi presento quattro foto, due in bianco e nero e due a colori, scattate su pellicola 4x5" (10x12cm) con l'amata Linhof Technika IV e obiettivi Super-Angulon 90mm e 65mm. Come potete vedere si tratta di immagini di analisi e documentazione, con cui cerco di rappresentare gli spazi interni ed esterni di questa mutevole struttura. Ho scelto di scattare sia a colori che in bianco e nero perché quest'ultimo ritengo permetta un'analisi più precisa dei volumi e della luce, mentre il colore è doveroso visto l'uso del rosso sia all'interno che all'esterno della casa. Entrambi i tipi di pellicole sono in questo caso funzionali allo scopo degli scatti.
Rimane, dopo questa seconda visita, il rammarico per le condizioni in cui versa la "Casa Sperimentale". La speranza è che si riesca a trovare una finalità, magari in linea con le intenzioni dell'architetto, per questi spazi. Noi ci proveremo con il nostro progetto!
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La Casa Sperimentale di Giuseppe Perugini, vista dall'ingresso. Linhof Technika, pellicola TMax 100, obiettivo Super-Angulon 65mm.
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La Casa Sperimentale di Giuseppe Perugini, interno. Linhof Technika, pellicola Ektar 100, obiettivo Super-Angulon 65mm.
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La Casa Sperimentale di Giuseppe Perugini, interno. Linhof Technika, pellicola TMax 100, obiettivo Super-Angulon 65mm.
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La Casa Sperimentale di Giuseppe Perugini, vista dell'esterno, con la "piscina", la scala rossa di accesso e le strutture portanti. Linhof Technika, pellicola Ektar 100, obiettivo Super-Angulon 90mm.
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La Casa Sperimentale di Giuseppe Perugini

9/9/2016

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La Casa Sperimentale dell'architetto Giuseppe Perugini venne realizzata alla fine degli anni '60 assieme alla moglie Uga de Plaisant e al figlio Raynaldo. Non mi soffermo sulle considerazioni architettoniche, di cui so poco e per cui vi rimando a questo articolo. Vorrei invece descrivere le mie sensazioni dopo questa prima visita, cui ne seguiranno di sicuro altre.

Questa estrosa struttura è seminascosta tra la vegetazione nella parte più interna di Fregene, circondata di stradine su cui affacciano classiche villette di un centro urbano vicino al mare. La prima cosa che si nota è il muro di cinta, convesso verso l'esterno e costituito da un mix di cemento e acciaio dipinto di rosso. Una volta entrati senza problemi dal cancello ho subito notato l'abbondanza di immondizia, frutto principalmente della frequentazione "clandestina" del luogo. Ergo abbandono e incuria. Subito sulla sinistra c'è una bassa costruzione in cemento e acciaio rosso con due porte concave che, se non fossero chiuse a chiave, ruoterebbero su se stesse aprendosi. Poi ecco la casa, molto più piccola di come la immaginavo, occhieggiare tra i rami dei lecci. E accanto, sulla destra, una sfera, con finestra/porta di ingresso circolare che sembra il modulo di atterraggio di una qualche navicella spaziale. Mi ha colpito molto la dicotomia tra le travi in cemento armato e le forme cubiche ossessivamente riproposte fuori e dentro la struttura da un lato e questi moduli circolari o ellittici appesi all'esterno o buttati là nel giardino dall'altro. A proposito del dentro, l'interno non è meno interessante dell'esterno. Vetro, cemento e acciaio dipinto di rosso la fanno da padroni. Gli ambienti ellittici di cui parlavo poc'anzi non sono altro che i bagni, cui si accede con spassose porte circolari che ruotano sulla verticale, lasciando vedere il water e il bidet piazzati in posizione opposta rispetto ad un cerchio rosso sul pavimento. Fantastico. Piccole scale superano i dislivelli degli ambienti interni. Tag e qualche murale. Un gruppo di ragazzi nel frattempo registra un video musicale suonando dal vivo, chitarra e basso, mentre un signore in bmw con figlia al seguito si ferma e ci chiede imbarazzato se può entrare a fare delle foto. Scendendo la scala, ovviamente rossa, con cui si sale alle stanze si torna in giardino dove, esattamente sotto i moduli sospesi sui pilastri, c'è quella che doveva essere una piscina, ora cimitero di acqua verdastra brulicante di zanzare per giocattoli, bottiglie, una tastiera e chissà cos'altro.

Struttura complessa, che occorre un po' di tempo per digerire, che chiede a gran voce di non essere abbandonata, di trovare una nuova vocazione. Museo? Spazio espositivo? Non so, opera d'arte di per sé, probabilmente da reinterpretare. Ci penseremo. E ci torneremo per fare altre foto. Questo è solo l'inizio!
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