È con queste informazioni in mente che mi sono avvicinato assieme all’amico fotografo Roberto Mirulla per una prima “esplorazione” fotografica del Terminillo. In realtà ci ero già passato diverse volte, ma la forma mentis con cui arrivavo era sempre quella dello sci alpinismo o del trekking, quindi gli aspetti socio-architettonici e la ricerca fotografica in senso lato non avevano mai attirato la mia attenzione. Ora però è tutto diverso. Anche gli strumenti sono cambiati. Con la Linhof Technika 4x5” e la Rolleiflex ho iniziato un nuovo percorso di conoscenza di questi luoghi.
La tiepida giornata di autunno inoltrato mi ha regalato emozioni contrastanti: paesaggisticamente parlando il posto era e rimane magnifico. Le grandi faggete che coprono i fianchi della montagna cedono gradualmente il posto ai pascoli e poi ai pendii via via più brulli verso la cima. La strada sale tortuosa regalando viste magnifiche verso ovest sulle dorsali montuose fino alla città che si perde nella foschia. Bello, ma, certo, questo era già così prima dell’antropizzazione, che poi è quello che mi interessa veramente. Ecco quindi che si arriva prima a Pian dé Valli e poi a Campoforogna. Ecco i grandi residence e condomini, ecco le ville più o meno eleganti perse tra gli alberi. Le piazzette, qualche negozio, la vecchia funivia e la grande chiesa di San Francesco. Sembra di fare un viaggio indietro nel tempo negli anni ’60. Sacche del periodo d’oro resistono accanto a palesi decadenze e timidi rinnovamenti. Si percepiscono le origini ante guerra, ci si perde nel marasma della speculazione del dopo guerra e poi... Nulla. Poi una troncatura, uno hiatus come direbbe un geologo. In effetti sembra di essere in una specie di limbo, una sorta di riedizione nostalgica degli anni che furono. Un po’ di gente c’è (è domenica). L’autunno certo non è da nessuna parte il momento del pienone, ma è indubbio che qui i tempi d’oro sono passati. Salendo verso gli ultimi condomini più alti il discorso non cambia, anzi, c’è anche la diruta e assurda Villa Chigi (che i nostalgici chiamano “di Mussolini)”, però fa un certo effetto vedere il grande campo di atletica ben tenuto e curato. Forse qualcosa si muove e nel complesso tutto ciò che è di antropico non disturba neanche troppo, anzi interessa per quello che è e che ha rappresentato. Un momento della storia della nostra nazione in cui c’era una spinta che oggi dovremmo ritrovare, certo orientandola in altre direzioni magari, ma di cui avremmo un gran bisogno.
Torno da questo primo viaggio con tre scatti su pellicola piana e un rullo 120. Ho scelto il bianco e nero per questa volta, mi interessava iniziare con una analisi più formale ed estetica. Ma ci torneremo presto, anche con la neve.
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