Folding o monorail? Leggerezza e trasportabilità o espandibilità e facilità d’uso? Comodità o precisione? Sul campo o in studio?
Sono queste alcuni dei dilemmi che affliggono chi si appresta ad entrare nel mondo del Grande Formato e delle fotocamere a corpi mobili e deve scegliere su quale strumento puntare. Meglio una fotocamera field/folding o un banco ottico vero e proprio? Sono domande a cui non è facile rispondere, perché dipendono in ultima analisi dall’approccio di ognuno di noi e dalle nostre necessità.
Se però esistesse una via di mezzo? Un ibrido tra le due grandi famiglie? Un ponte che colleghi i due estremi? Potrebbe essere la soluzione! Certo! Ma c’è? Beh… La risposta è sì: la Linhof Technikardan.
Andiamo in Germania, quindi, dove ha sede la famosissima casa di Monaco, che credo non abbia bisogno di ulteriori presentazioni. Simo tra gli anni ’80 e ’90 e alla Linhof sono ormai da parecchio tempo stabilizzati sulle due linee principali di camere grande formato: i banchi della serie Kardan e la celeberrima folding all-metal Technika. I due filoni hanno storie assai lunghe alle spalle, e procedono in parallelo, come accade per altre famose aziende del tempo (Toyo, Horseman…).
Ed ecco l’idea: creare una nuova fotocamera, nuova nel senso che non si è ancora visto nulla del genere fino a quel momento. Una fotocamera che fin dal nome scelto la dice lunga su quello che vuole essere. Technikardan, infatti, è semanticamente il merging della Technika e del Kardan, quindi un vero e proprio ibrido che vuole condensare in sé il meglio delle due “famiglie”, promettendo di essere una risposta all’eterno dilemma su cosa scegliere. Idea semplice e ambiziosa al tempo stesso. Sarà riuscita la Linhof a vincere questa sfida? Lo vedremo a breve.
Prima di iniziare con la descrizione, vorrei darvi un po’ di dati tecnici, utili ad introdurre l’oggetto con cui abbiamo a che fare (direttamente dal manuale della fotocamera, scaricabile qui).
- Peso: 3,4 kg
- Estensione massima: 504mm
- Estensione minima: 48mm (con lensboard normale)
- Decentramento verticale: davanti +5/-2cm; dietro +5cm (tot. +5/-7cm)
- Decentramento laterale: davanti 5,5cm sinistra/3,5cm destra; dietro 5,5/5,5cm (totale 11/9cm)
- Tilt: limitato solo dal soffietto
- Swing: 360°
Letti così, in modo asettico e astratto, questi dati sono già un bel mix. Vediamo che abbiamo per le mani un oggetto non leggerissimo, ma neanche troppo pesante. In effetti siamo ad una via di mezzo tra il peso medio di una folding all-metal (2,5kg) e di un banco (dai 4kg in su di solito). In realtà siamo esattamente a metà tra il peso della Technika e del Kardan. Mi verrebbe da pensare ad un caso se non ci fosse di mezzo la Linhof. L’estensione massima la commenteremo poi, ma appare un dato notevole, superiore di molto a quello delle folding classiche ed in linea con quello di molti banchi con rail non allungabile. L’estensione minima è sorprendente. Decentramenti e rotazioni superiori a qualsiasi folding ed anche ad alcuni banchi. Insomma già così appare chiaro che siamo in presenza di uno strumento dalle caratteristiche di tutto rispetto. Anzi, i dati sembrerebbero proiettarci più nel mondo dei banchi che delle folding, salvo il peso che è più da folding che da banco. Ma andiamo avanti
Prima di iniziare, desidero richiamare ancora un attimo pregi e difetti dei banchi ottici e delle field/folding.
Field/folding
- Pro: leggerezza, compattezza, rapidità nel setup
- Contro: estensione limitata, scarsa precisione e comfort dei movimenti, estensione dei movimenti limitata, difficoltà d’uso con focali molto corte
- Pro: precisione ed estensione dei movimenti, espandibilità, facilità d’uso, estensione massima e minima
- Contro: peso, ingombro, setup più lungo
Appare evidente, o almeno io la penso così, che il banco rappresenta, al netto delle esigenze e del campo di applicazione di ognuno di noi, lo strumento “tecnicamente” migliore. La folding è il suo corrispettivo dedicato all’uso “on the field”, quando leggerezza, compattezza e rapidità d’uso diventano imperativi e si può sacrificare qualcosa sull’altare di queste necessità. E la Technikardan quindi? Quali soluzioni ha adottato la Linhof per collegare questi due mondi? Vediamo!
Technikardan da chiusa
Osserviamo dunque la macchina, finalmente! Partiamo dalla posizione di chiusura. Tenendo fede, infatti, alla sua vocazione di ibrido banco/folding, la Tk è stata pensata per poter essere chiusa in modo estremamente compatto: alla base vediamo un corpo di alluminio grigio, lungo una ventina di cm e molto largo, che non è altro se non un ingegnosissimo rail telescopico. Su un lato del rail ci sono due manopole scure che ne controllano l’estensione, sull’altro la guida a cremagliera, con relativa manopola, per il fuoco di precisione. Osservandone la sezione, si ha subito un’idea del complesso ed elaborato sistema che permette al rail di quasi triplicare la sua estensione base.
Spostandoci verso l’alto, ecco le due standarde, dalla forma ad L, una più grande (la posteriore) e una più piccola (l’anteriore). Ed ecco spiegata la larghezza del rail: le due standarde sono una di fronte all’altra, e non affiancate come accade su altri banchi ottici. Ciò permette di contenere le dimensioni della macchina chiusa a circa 21x25x10cm. Davvero sorprendente! Qualcosa di non molto dissimile da una classica folding, più bassa e stretta ma un pochino più spessa (foto). Una cosa da notare è che il soffietto è già al suo posto, proprio come in una folding. Vediamo anche le numerose levette, caratterizzate da pomellini in plastica rossi o verdi, sparse tra la base delle standarde e il lato verticale della “L”, nonché le precise scale millimetriche associate sia ai decentramenti che alle rotazioni (dove coprono un arco di 20°/26°). Infine, una generosa dotazione di livelle completa il quadro di quello che appare un banco dotato di movimenti ampi e precisi ma che da chiuso occupa poco più dello spazio di una camera folding. Prendendola in mano, si percepisce il peso, tutto sommato limitato, e soprattutto la sorprendente “compressione” di tutta la meccanica in un oggetto gestibile, dal punto di vista del trasporto, con notevole semplicità, nonché bellissimo (ma dalla Linhof non ci potevamo aspettare niente di meno).
Il colore associato alle levette di cui sopra è una sorta di codice che facilita l’identificazione di ciò che dobbiamo fare per aprire la macchina. Si opera infatti sulle levette rosse: ogni standarda ne ha associate tre, che controllano il decentramento laterale, il fuoco e lo swing. Ogni levetta ha anche associata una figura, che rappresenta il movimento corrispondente e che ci segnala, se la leva è accostata a tale figura, la posizione di bloccaggio. Per procedere con l’apertura si devono muovere tutte le levette rosse verso la posizione di sbloccaggio, segnalata dalla scritta “off”. Si procede quindi alla rotazione (swing) contemporanea e in senso orario di tutte le standarde finché non si sente un click per ognuna. Ciò segnala di aver raggiunto la posizione di “0” dello swing, che fa scattare un perno in posizione e blocca ulteriori rotazioni. Durante l’operazione precedente, le standarde sono libere di traslare lateralmente per non stressare troppo il soffietto, quindi occorre anche riportare il decentramento laterale a “0” sia davanti che dietro. La standarda anteriore, non dotata di fuoco di precisione, va fatta traslare in avanti fino a fine corsa; quella posteriore, agendo sulla manopola del fuoco, va posta in un punto a piacere della scala della focheggiatura. Infine serriamo nuovamente tutte le leve rosse e siamo pronti a montare l’ottica.
L’operazione è decisamente più facile da fare che da descrivere, anche se in effetti ci vuole un minimo di pratica per portarla a termine rapidamente e tutto il sistema delle levette appare un po’ troppo complesso e non comodissimo per chi ha mani grandi.
Al netto del discorso “apertura”, una volta pronta ci troviamo di fronte a quello che in tutto e per tutto sembra un banco ottico. Se escludiamo per un attimo il rail, il sistema delle standarde ad “L” e dei movimenti è del tutto simile a quanto possiamo trovare su una Kardan Master L o su una Horseman L45 e simili. Vediamo.
Posteriormente si notano subito le due scale millimetriche sui due lati della “L”, associate ai decentramenti, di tipo non-geared. Quello orizzontale è controllato, in basso, da una delle già citate levette rosse, quello verticale da una levetta verde. Da notare che il decentramento verticale posteriore è solo verso l’alto, ovvero ha come effetto lo spostamento verso il basso della composizione. Le traslazioni, che si operano manualmente, sono fluide e comode, pur non avendo la precisione di quelle micrometriche. Più in alto sulla “L” si trova un’altra levetta verde, quella che controlla il tilt, con relativa scala graduata proprio in cima. Una volta sbloccata, per azionare la rotazione occorre premere verso sinistra una levetta metallica e contemporaneamente iniziare a ruotare nel verso desiderato. Un ottimo sistema per evitare rotazioni spontanee involontarie. Il movimento è fluido e con un ottimo grip, così che una volta lasciato in una posizione non si corre il rischio che si muova da sé mentre lo blocchiamo. La “L”, che a ben vedere risulta un filino esile, è innestata sul rail tramite una placca metallica nera che alloggia le due levette rosse che controllano swing e fuoco di precisione. Per azionare lo swing, come per il tilt, dopo averlo sbloccato occorre premere in basso una levetta metallica che è posta subito sotto la parte orizzontale della “L”, con relativa scala graduata per la rotazione. Anche in questo caso rotazione fluida e progressiva. Devo dire però che le due levette di fuoco e swing sono tra loro molto molto vicine, così che operando da dietro la macchina è facile confondersi e occorre abituarsi un po’.
Come in un normale banco ottico, la standarda anteriore è del tutto simile a quella posteriore, con delle piccole differenze però. Vediamole. Come già detto, la “L” anteriore è un po’ più piccola di quella posteriore. Ciò detto, i controlli e relativi meccanismi sono uguali, eccezion fatta per il decentramento verticale, che va sia su che giù, e per il fuoco, cioè per lo spostamento della standarda avanti e indietro lungo il rail, che in questo caso è manuale senza controllo di precisione e serve quindi più che altro per posizionare rapidamente la “L” anteriore alla distanza desiderata da quella posteriore, che invece si usa per il fuoco di precisione.
Il soffietto standard, di ottima fattura, assai flessibile ed allungabile, si può facilmente sostituire con uno a sacco azionando quattro piccoli perni, due per ogni standarda. Da menzionare infine il meccanismo di innesto dell’obiettivo e del frame posteriore, per mezzo di una comoda leva cilindrica a molla che scatta automaticamente in posizione. Le due standarde, per concludere, sono fissate una sulla destra (la posteriore) e una sulla sinistra (l’anteriore) del rail. Questo per poter essere appaiate una di fronte all’altra a macchina chiusa e per poter sfruttare l’estensione del rail, come vi descriverò ora.
Tutto il sistema appena descritto poggia quindi sul rail telescopico. L’esterno, liscio e uniforme, nasconde un complesso sistema di estensione, che si sblocca agendo sulle due manopoline nere poste sul lato sinistro. La manopola più indietro sblocca la prima estensione, quella più avanti la seconda. La prima “corsa” porta all’uscita di una porzione interna del rail, sempre larga ma di forma diversa, la seconda invece mette in movimento la parte sinistra, con l’uscita di un’ultima sezione più stretta, quella su cui poggia direttamente la standarda anteriore, che con questo meccanismo viene quindi progressivamente allontanata dalla posteriore. In questo modo si assiste ad una progressiva riduzione della sezione del rail con l’allungamento. Alcune osservazioni: il meccanismo funziona magnificamente, è davvero un piacere far scorrere in modo fluido e senza sforzo le varie sezioni, raggiungendo così un’estensione davvero notevole in pochi istanti e senza sforzo alcuno. Poi, devo dire che, pur essendoci un minimo di flessibilità dell’insieme, dovuto anche ad una doverosa tolleranza tra le parti, la rigidità del rail è ottima e supporta senza problemi ottiche molto lunghe e pesanti. Al tempo stesso, la progressiva estensione porta ad un progressivo sbilanciamento del baricentro della macchina, non bilanciabile, come accade sui banchi, dalla traslazione della base attaccata al cavalletto. Per cui, per un uso con lenti molto lunghe e pesanti, una testa ben solida ed una piastra di dimensioni generose sono assai consigliate. Sul lato destro del rail infine troviamo la cremagliera con relativa manopola e scala millimetrica per il fuoco di precisione.
Chiudo citando la possibilità di innestare sulla slitta posta in cima alla standarda frontale l’ottimo paraluce compendium, che però presenta qualche scomodità con lenti dotate di elemento frontale un po’ grande. Si tratta dello stesso paraluce dei banchi della serie Kardan.
Bene, vi ho descritto la macchina, sperando di avervi incuriosito e non annoiato. Ma ora viene il bello: l’uso sul campo. Riuscirà questo gioiellino della meccanica a mantenere le promesse e a soddisfare le aspettative? Vediamo!
Ho avuto la fortuna di lavorare con la Technikardan per alcuni mesi durante il mio progetto sul Gran Sasso d’Italia (vedi gallery più avanti). La macchina mi ha quindi accompagnato lungo le mie escursioni sui monti e posso dire di averla testata a dovere, soprattutto con focali medio-lunghe o molto lunghe (fino al Symmar-S 360mm) ed in condizioni severe, vento, neve. Diverse foto presenti nel mio libro sul massiccio Abruzzese sono il risultato di questi mesi spesi assieme al gioiellino della Linhof, che quindi, per quanto mi riguarda, ha soddisfatto le mie aspettative. Ma parliamone più in dettaglio.
Iniziamo dalla trasportabilità: come descrittovi e mostrato in foto, la Technikardan è un vero gioIello di ingegneria, un progetto che è riuscito a miniaturizzare un vero e proprio banco ottico più o meno nelle dimensioni di una folding. Quindi nessuna difficoltà a portarsela in giro, in borsa, zaino, trolley o come vi pare. Il peso è tranquillamente gestibile anche su lunghe distanze.
Vi dicevo anche della necessità di impratichirsi un po’ con il meccanismo di apertura/chiusura, non semplicissimo. Nulla di trascendentale, comunque, ed inoltre ci può stare vista la “compressione” di tutta la meccanica. Compressione che mi porta alla considerazione circa il primo punto debole della macchina: le sue tante e non comodissime levette. Per le appena citate esigenze di compattazione, tutto ciò che normalmente si trova ben distanziato e distribuito su un normale banco, qui è stato ridimensionato e ravvicinato. La conseguenza è che operare sul blocco/sblocco dei meccanismi non è comodissimo, e occorre farci un po’ l’abitudine. Il rischio è di confondersi, mentre si opera, tra i diversi comandi e inoltre la posizione di alcune delle leve è un po’ scomoda. Ciò detto, una volta rintracciata la leva giusta, blocco e sblocco sono sempre rapidi e sicuri. Sia i decentramenti che le rotazioni, una volta bloccati in posizione, sono inamovibili. Ve lo posso garantire, avendo usato una lente enorme e pesantissima come il Symmar-S 360mm.
Nelle operazioni normali (fuoco, decentramenti) la macchina lavora molto bene. Il fuoco di precisione sulla standarda posteriore ha il giusto grip; i decentramenti sono fluidi e rapidi, nonché molto estesi, così non si sente più di tanto la mancanza di controlli micrometrici. Occhio però alla standarda anteriore, perché una volta sbloccato il decentramento verticale, se non sosteniamo il frame con la mano, questo “cade” verso il basso fino a fine corsa. Se dobbiamo ricorrere alle rotazioni, per gestire il fuoco con Scheimpflug o la prospettiva, la Technikardan mostra tutto il suo potenziale, decisamente più da banco ottico che da folding. Tilt e swing sono molto comodi: i perni della posizione “0” impediscono movimenti accidentali anche dopo aver sbloccato la leva, il movimento è bel calibrato e progressivo così non si corre il rischio di spostamenti involontari lasciando la standarda una volta impostata la rotazione. L’applicazione della regola di Scheimpflug è classica, senza particolari raffinatezza ma facilitata dalla comodità e ampiezza dei movimenti. Complessivamente quindi siamo decisamente vicini alle caratteristiche di un banco classico.
Il rail telescopico, in una parola, è comodissimo. Difficile trovare qualcosa di paragonabile. Passare con un solo semplice gesto della mano da un allungamento di 20cm a uno di 50cm vi assicuro che è una sensazione da provare. Così diventa elementare e gratificante l’uso con focali lunghe, perché diventa rapido e facile trovare la giusta distanza dalla standarda posteriore, senza contare le ampie possibilità di scatto in ambito di close-up e macro. E così arriviamo al secondo punto di debolezza della macchina: complessivamente la struttura non è rigida come quella di un banco tradizionale. Tutto il progetto si basa sul risparmio dello spazio e, in parte, del peso, quindi inevitabilmente si ha un po’ di flessibilità nell’accoppiamento tra le parti, soprattutto tra frame posteriore ed “L” e nelle “L” stesse, che non sono massicce e rigide come quelle, ad esempio, della Horseman L45. Va sottolineato però che questo non implica nessun problema nell’uso pratico, come dimostrato dagli scatti in condizioni di vento forte e forte sbilanciamento della macchina con focali lunghe e tempi di scatto molto lunghi (vedi gallery sopra). Tra l’altro voglio sottolineare che il rail telescopico, che potrebbe essere un punto debole, mantiene invece un’ottima rigidità anche alla massima estensione, pur non essendo, ancora, ai livelli di un monorail classico.
Uso con focali corte
Le capacità della macchina di gestire le focali corte sono eccezionali. Con grande semplicità e comodità si possono usare lenti ultra-grandangolari fino a meno di 50mm, senza lensboard rientranti. Non ho trovato con nessun’altra fotocamera la stessa comodità sul “corto”. Il soffietto a sacco fa ottimamente il suo dovere e usare i movimenti anche con le due standarde quasi attaccate non presenta alcun problema.
CONSIDERAZIONI FINALI
Bene amici, siamo alle considerazioni finali sulla Linhof Technikardan S 45! La casa di Monaco è riuscita a mantenere la promessa di creare un ibrido tra banco ottico e folding? Beh, dopo attenta analisi direi di no. Perché no? Perché non è un ibrido!
Mi spiego, la TK è il risultato della miniaturizzazione di un banco ottico. Ha poco o nulla della folding e tutto o quasi del banco. Gli unici richiami al mondo delle field cameras sono il peso e le dimensioni da chiusa, che non è poco, ma il resto è tutto il risultato dello sforzo ingegneristico di contenere in un peso accettabile e una compattezza notevole quanto siamo abituati a vedere su strumenti notevolmente tecnici e moderni come i banchi da studio. I punti di forza sono innumerevoli, i punti deboli un paio, quindi comincio da questi.
La rigidità complessiva della macchina lascia qualche dubbio, non tanto nel rail telescopico quando nelle standarde, soprattutto quella posteriore. Nulla che comunque vada ad inficiare il lavoro e probabilmente diretta conseguenza della riduzione del peso, ma forse dalla Linhof ci si poteva aspettare qualcosa in più. Le numerose levette che controllano i movimenti sono troppo piccole, vicine e a volte non comodissime da operare, nonché non robustissime. Anche qui la scelta è stata dettata dalla miniaturizzazione di tutta la meccanica, ma il dato di fatto è che occorre impratichirsi un po’ con tutti i comandi. Insomma non è il banco più facile del mondo da usare, ma devo ammettere che ci si abitua abbastanza presto.
E i pro? Beh innanzi tutto potersi portare in giro comodamente in uno zainetto, senza peso eccessivo, un banco ottico vero e proprio, dotato di movimenti ampi e precisi in grado di assolvere praticamente a qualsiasi compito è già di per sé notevolissimo. Il monorail telescopico è fantastico, e permette di usare senza problemi focali molto lunghe e passare poi in un attimo a obiettivi ultra-grandangolari. Qualsiasi sfida è alla portata del TK, dallo still life in studio al close-up in natura, dall’architettura al paesaggio. Il tutto, ribadisco, in uno strumento che è facilissimo portarsi in giro e rapido nel set-up. Il tutto con la precisione ingegneristica e la cura per i dettagli tipica della Linhof, anche se a dirla tutta questa macchina esce un po’ fuori dal seminato classico della casa di Monaco, una macchina fantasiosa, divertente, quasi scanzonata, che per un attimo deroga qualcosa alla rocciosità e all’ordine tipici dei tedeschi per lanciarsi verso lidi inesplorati e vergini. Bravi!
Prezzo e varianti
La TK è tutt’ora in produzione al prezzo di 4290€ + IVA, un prezzo che tutto sommato è ragionevole. Ovviamente nel mercato dell’usato si trovano parecchie cose, ma i prezzi rimangono abbastanza alti. Esiste anche una versione 6x9cm della TK.
Pagina sulla TK del sito Linhof
Giulio Speranza, novembre 2020